6 favole da raccontare prima di andare a letto

1/7 – Introduzione

Si sa, per i bambini le favole sono come un gioco che risplende nelle loro energiche giornate, insegna una morale, lo aiuta nella sua crescita, tiene impegnati gli ingranaggi della sua mente sempre in movimento e lo accompagna nella vita di tutti i giorni.
Ogni favola possiede la sua morale che viene espressa in un linguaggio estremamente semplificato, ma che racchiude un mondo di contrarietà, difficoltà e ingiustizie atte però a risolversi sempre e solo con la giusta determinazione, coraggio, buone azioni e spirito di iniziativa. L’obiettivo è dunque quello di esternare le paure del bambino, dando loro una concretezza quasi fisica che sarà più facile da sconfiggere e trovare un senso compiuto e realizzazione.
Solo così i talenti delle nuove generazioni potranno affiorare, dando così una possibilità in più di una vita felice.
In fondo, se lo diceva anche Albert Einstein:
“Se volete che vostro figlio sia intelligente, raccontategli una fiaba; se volete che sia molto intelligente, raccontategliene di più.”.
Ecco per voi 6 favole perfette per i vostri figli e nipotini prima di andare a letto 🙂

2/7 – L’amore… è per l’eternità

C’era una volta un piccolo villaggio, dove le persone vivevano felici e serene, un paese che non conosceva cosa fosse la guerra e ogni tipo di cattiveria, dove gli abitanti conoscevano solo l’amore, il sorriso e la cordialità. Un giorno però, passò di lì una vecchia strega cattiva, che viveva nel bosco, e vedendo tutte quelle persone felici fu morsa dall’invidia e pensò di fare un incantesimo cosicché anche quel villaggio sarebbe piombato nel buio della tristezza. La vecchia strega, una volta tornata nella sua casa nel bosco, che nessuno mai aveva osato avvicinare, raccolse tutti gli ingredienti necessari per l’incantesimo e cominciò a mescolarli nel suo pentolone: “bratacal, bratacal, fa che scappi il bene e venga il mal” questo pronunciava la strega, era una delle sue formule segrete, e ancora: “Scatapin, scatapa, che il male rimanga là” -“patacar, patacar che sorrisi e baci volino via per il mar”.
La strega aveva un gran libro nero, che conservava in un vecchio ripostiglio buio e pieno di ragnatele, con tutte le formule magiche, quest’incantesimo lo aveva già fatto tante volte, infatti, tutti i villaggi della zona erano sotto il suo influsso e le persone vivevano nel buio della tristezza e della cattiveria.
Preparata la pozione e chiusa in una boccetta, la vecchia strega si diresse verso il villaggio e dette le ultime parole magiche, sparse la polvere nell’aria, il cielo a quel punto si oscurò, un vento forte cominciò a soffiare spargendo l’incantesimo su tutte le case: tutti i sorrisi delle persone e i baci scomparvero e la strega li racchiuse in un gran recipiente di terracotta, lo tappò per evitare che uscissero e tornò sghignazzante e soddisfatta nella sua casa.
Sul villaggio piombò il buio, le persone cominciarono a litigare fra loro, nessuno andava più d’accordo, non c’era più l’amore, non c’erano più i baci, nessuno sapeva più cosa fossero, le mamme non davano più il bacio della buona notte ai figli, che non si addormentavano, anche i fratelli non si amavano più e litigavano continuamente.
Un giorno Nila, che era una giovane, la più bella ragazza del villaggio sognò nella notte che un principe venuto per lei, sorridendo la prendesse con lei e la baciasse, vivendo per sempre felici. Al suo risveglio, ripensando al sogno, si ricordò che esistevano i baci e i sorrisi, l’amore, ma che nessuno più sapeva nel villaggio cosa fossero. Nila, decise allora di chiedere aiuto, immaginando che quello che stava accadendo fosse frutto di qualche incantesimo. Prese il suo piccolo piccione e legò alla sua zampina un piccolo foglio con la richiesta di aiuto – “Va piccolino, cerca qualcuno che possa aiutarci, fa presto”.
Il piccione volò per due giorni e due notti, fino a quando non trovò un cavallo vicino ad una fontana fuori dal bosco, e vicino al cavallo un giovane; gli si avvicinò: “Ehi, tu, ascoltami”, disse.
“Chi è che parla?” rispose stupito il cavaliere.
“Sono io, sono qui, ma non hai proprio immaginazione? Sono il piccione, senti ho un messaggio per te, leggilo, sbrigati e vieni a salvare il villaggio”, concluse il piccione.
Letto il messaggio, il cavaliere disse: “Di alla tua padroncina che io, Bory correrò da lei e verrò a salvare il villaggio”.
Il piccione partì, per dare la notizia alla sua padroncina.
Bory, salì a cavallo e come una furia, corse disperatamente verso il villaggio, vi ci giunse dopo un giorno e una notte di cammino, cercò la casa di Nila, la trovò, bussò… “Salve, dolce fanciulla, mi chiamo Bory, sono al vostro servizio e a quello dei vostri paesani, ditemi come posso aiutarvi, davanti a cotanta bellezza m’illumino di gioia”.
“Grazie, bel principe, siete la salvezza del paese, siamo stati colpiti da un incantesimo della vecchia strega, ci ha tolto l’amore, il sorriso” disse la giovane.
“Ma voi, non avete perso l’amore, lo vedo dai vostri occhi, voi amate, sapete cos’è l’amore” confidò il cavaliere.
“Oh, che animo dolce avete, sapeste come il mio cuore ha bisogno di amare e di essere amata, quanto affetto ho da donare, ma sapete qui nel villaggio sono tutte persone anziane, non come voi..”.
A quel punto la giovane arrossì e il cavaliere visto l’imbarazzo di lei, la confortò dicendole: “Non vergognatevi, mia principessa, è il fato che mi ha condotto da voi, io sono solo, non ho mai trovato una ragazza dolce, tenera come voi, i vostri occhi mi dicono che anche voi provate qualcosa per me, ditemi che è vero”.
“Si, ma non sono una principessa” rispose con un filo di voce Nila, che era ragazza molto timida, ma che sentiva dentro di provare qualcosa di speciale per quel ragazzo. Ma era amore! Amore infinito, unico e anche Bory provava le stesse cose per lei.
“Per me lo siete, siete la principessa più bella che ci sia al mondo”. Disse con trasporto Bory. “Ma allora l’incantesimo su di me non funziona, io provo amore e sento l’amore che mi viene donato, grazie mio principe, avete vinto l’incantesimo”, e mentre diceva quelle parole i due si baciarono e promettendosi eterno amore, Bory chiese la mano de Nila, che accettò.
“Ora dobbiamo liberare tutto il villaggio” disse la ragazza.
“Troveremo la casa della strega e romperemo l’incantesimo”. Disse Bory. R>”Si, ma come faremo, e poi nessuno si è mai avvicinato alla sua casa, si dice che chi c’entra non ne esca più”. Rispose, un po’ preoccupata Nila.
“Salite sul mio cavallo e insieme riusciremo a vincere l’incantesimo”. E partirono per la foresta. “Eccola, la casa è quella laggiù”. Disse Nila.
>”Bene, cerca di attirare la vecchia strega fuori e distrarla, le daremo queste fragole con un potente sonnifero, io entrerò in casa per cercare qualche pozione, o qualche rimedio, tutte le streghe hanno un libro di incantesimi, devo trovarlo”. Sentenziò Bory.
Nila, si avvicinò alla casa e bussò: “Buongiorno, Signora, mi sono persa, potreste aiutarmi?” E le donò il cesto di fragole con il sonnifero.
La vecchia fece entrare Nila, e non fidandosi annusò di nascosto le fragole, accorgendosi della presenza del sonnifero: “Adesso ti faccio vedere io”. Pensò minacciosamente la vecchia strega. Nel frattempo Bory di nascosto era entrato da una finestra dal retro e cercava il libro degli incantesimi.
La strega allora, accortasi dell’inganno, offrì a Nila una porzione di frutta, cui aveva aggiunto anche una fragola contenente il sonnifero, e una sua pozione, Nila, per cortesia, la mangiò e dopo poco cadde in un sonno profondo.
“Volevi farla a me, eh?” Disse la strega.
Bory, arrivato nello scantinato, vide sopra uno scaffale, un grande libro nero, lo prese ed era, in effetti, il libro degli incantesimi, una volta preso corse via velocemente, riuscendo dalla finestra.
“Ce l’ho fatta, adesso riusciremo a far svanire la maledizione, ma prima voglio togliermi una soddisfazione, cercherò un incantesimo per far diventare la strega una innocua vecchina”. Pensò con entusiasmo Bory.
Bory attendeva il ritorno di Nila, ma le ore passavano e cominciò a preoccuparsi: “Deve essere successo qualcosa, la strega si deve essere accorta di qualcosa, adesso andrò dentro, ma prima…”. Ma prima Bory, aprì e cercò nel libro le parole per un incantesimo da fare alla vecchia strega, poi andò a bussare alla sua porta. Toc, Toc.
“Che cosa volete bel giovane”. Disse la vecchia, avendo capito che i due fossero insieme d’accordo. Bory, in quell’istante pronunciò la formula e la vecchia in un batter d’occhio, si trasformò in una dolce vecchina.
“Bene, così state meglio, e da oggi non farete più male a nessuno, anzi ripagherete tutto quello che avete fatto con l’amore che non avete mai dato” e poi disse un’altra formula: “Tutto quello che farà, solo con l’amore sarà”. Così la vecchia divenne una dolce e buona vecchina, piena d’amore per tutti.
Bory, sistemata la vecchia, entrò in casa per cercare la sua Nila, quando la vide distesa, in un sonno profondo, venne preso dallo sconforto : “Nila, Nila, sveglia, cosa ti ha fatto quella brutta strega”.
Poi continuò: “Adesso dovete dirmi come posso salvare la mia Nila”.
“C’è solo un modo. Solo il bacio dell’uomo della sua vita, colui che amerà per sempre, la risveglierà, altrimenti…”. Disse la vecchia.
Bory, prese Nila in braccio e adagiatala sul suo cavallo, la ricondusse al villaggio. Arrivato al villaggio e preso il libro, Bory cercò un antidoto per Nila, ma non trovò nulla, allora cercò e trovò quella per liberare il paese dall’incantesimo, e formulate le parole magiche, il cielo tornò di nuovo azzurro, e il vecchio contenitore dove erano i riposti i baci e l’amore, si frantumò e tutti poterono così riacquistare il sorriso.
Ma per Nila, non si era trovato l’antidoto, allora Bory, adagiò la sua amata sul prato e chiusi gli occhi, la baciò.
Nila, per incanto, dopo poche istanti aprì gli i suoi splendidi occhi.
“Dove siamo?”. Disse Nila.
Tutto intorno a loro era mutato, non esisteva più nulla, si trovavano in un mondo dove il tempo non scorreva, abitato solo da loro due, era il premio del loro grande amore che durò per l’eternità.

3/7 – La stanza magica

Un violento temporale svegliò Rich nel cuore della notte e tutto divenne buio all’improvviso. Rich aprì gli occhi, ma da qualunque parte guardasse era tutto nero, ma così nero che li richiuse subito.
Si nascose sotto le coperte e si raggomitolò stringendosi le braccia intorno al corpo. Ricordò che un giorno a scuola si era divertito molto a giocare con il buio, esisteva sì “il buio pesto” e chi “barcollava nel buio”, ma c’era anche chi era “tenuto al buio”, oppure chi faceva “i salti nel buio”… La maestra aveva fatto sorridere tutta scolaresca con quell’allegra e simpatica filastrocca! Così provò ad addormentarsi, ma il pensiero di quel nero non gli lasciò prendere sonno.
Rich si sentiva avvolto, inghiottito, risucchiato con il letto, la stanza, l’intera casa e tutti i suoi sogni dalla notte.
Sbirciò da sotto le coperte in cerca della luce, tossì per svegliare qualcuno, ma la stanza era tutta immobile e silenziosa. Si udiva solo il rumore della pioggia battere con un TIC-TAC intermittente contro i vetri. – Manu, Manu… – chiamò sottovoce timoroso persino di ascoltare la sua voce. Rimase qualche istante con l’orecchio in attesa di un segnale, ma la sorellina non rispose. Forse il buio l’aveva già portata via e così avrebbe fatto anche con gli altri e lui sarebbe rimasto solo? Doveva fare qualcosa, proteggerli! Velocemente scivolò dal letto e raggiunse ginocchioni lo scrittoio.
Tastò con le mani sul piano del tavolo, cercò di qua e di là, poi afferrò la scatola dei colori. In tutta fretta aprì un tubetto, lo schiacciò, vi immerse la setola di un pennello e con la punta grondante di colore diede la prima pennellata nel buio. Era l’azzurro! Rich affondò nuovamente il pennello nel tubetto e colorò fin quando non finì.
Poi ne cercò un altro e riempì il buio che era rimasto con larghe e profonde pennellate verdi. Tra una passata e l’altra, per coprire il nero che era rimasto, disegnò macchie di fiori rossi, arancio, blu e bianchi. L’ultimo tubetto era il giallo.
Rich salì sulla sedia dello scrittoio e colorò un sole grande, caldo ed alto, fin quando il giallo non finì. Svuotò tutti i tubetti, mise colori dappertutto, riempì ogni angolo buio e nero della stanza, dipinse persino maglietta e calzini con i colori della sua squadra del cuore. Infine con le mani pasticciate si pulì nell’azzurro e tracciò il profilo di un arcobaleno dalle mille sfumature colorate.
Ora la stanza era un magico bazar di sogni e di colori. Rich stanco e abbagliato dalla luce, si stropicciò gli occhi, ritornò a letto e si addormentò tra il caldo tepore delle coperte.

4/7 – Le pecorelle unite e il lupo solitario

C’era una volta una pecora di nome Francesca che stava in un ovile insieme alle altre pecorelle. All’improvviso venne un lupo affamato che voleva mangiare qualche pecora.
Allora Francesca disse alle altre pecore di non uscire perché il lupo era molto affamato e cattivo. Ma una pecora superba, di nome Isabella, che pensava di essere la più forte e coraggiosa, non ascoltò i consigli di Francesca e uscì fuori. Il lupo in un attimo saltò addosso alla povera Isabella che belava disperatamente. Ma le altre pecorelle si fecero coraggio e tutte insieme uscirono dall’ovile per salvare Isabella. Il lupo, vedendo un sacco di pecore che gli stavano saltando addosso, scappò via e non si fece vedere mai più.

Questa storia ci insegna che l’amicizia è molto importante e che gli amici superano tante difficoltà rimanendo sempre uniti.

5/7 – Il gatto e la formica

C’era una volta un gattino, piccolo, piccolo, ma così tanto piccolo da risultare invisibile alla maggior parte dei bambini. Nonostante si sgolasse giorno e notte a miagolare disperatamente alla ricerca di attenzione, purtroppo nessuno riusciva ad udirlo. Pertanto il gattino restava tutto il tempo raggomitolato in un angolo del cortile, sotto il muretto rivestito di morbido muschio e pensava alla sua tristissima esistenza.
“Come posso” si chiedeva “ continuare a vivere così, solo…senza potere godere delle carezze di qualcuno…” e miagolava desolato nel suo minuscolo cantuccio .
Una lacrima gli scivolò sul musetto, percorse i teneri baffetti e cadde giù, lì accanto “eih! Fai attenzione, mi sono già lavata stamattina! ”
“Chi ha parlato? ” sbottò il micino spaventato facendo un balzo indietro
“Io, e chi sennò? ”
Posando lo sguardo su di un ciuffetto d’erba lì vicino, il gattino scorse finalmente una formichina…piccola, ma così tanto piccola da risultare invisibile alla maggior parte degli esseri viventi.
“Scusa – si cautelò il gattino – non ti avevo proprio vista”
“Già – rispose la formica – lo so. Io in compenso ti avevo visto bene ed ancora meglio ti avevo sentito! ” “Cosa vuoi dire? ” domandò il micino incuriosito,
“Intendo dire che devo dormire con i tappi nelle orecchie perché non sopporto più il tuo incessante miagolare! Possibile tu debba piagnucolare sempre? ”
“Non pensavo che qualcuno potesse udirmi….. ” si giustificò il felino
“Il tuo guaio è che pensi solo ai tuoi problemi…. Invece di lamentarti delle tue dimensioni, dovresti preoccuparti delle dimensioni degli altri. Guarda me, che sono molto più piccola di te…non trascorro mica la giornata ad ululare e protestare inutilmente…. Lavoro io e rispetto tutti gli altri! ” soggiunse la formica altezzosa.
“Mi dispiace, ti prometto che prenderò esempio da te…d’ora in poi sarò più rispettoso verso i più piccoli e mi renderò più utile…”e, con la coda bassa si allontanò, persuaso della sua nuova missione. “via libera ragazze! ” urlò la formica a centinaia di sue simili “anche questo l’abbiamo raggirato” e si avventò con avidità sulla colazione del gattino.
Molti anni dopo il gattino divenuto ormai un micio adulto si trovava intento ad accudire alla numerosa famiglia insieme alla sua compagna e, per caso si imbattè nella stessa formica.
“grazie amica, tu mi hai reso un gran servizio…. Da quando ho cessato di piangermi addosso sono cresciuto ed oggi posso vantare una bella vita ed una meravigliosa famiglia”
“Ti invidio” disse amaramente la formica “io invece sono rimasta sola…tutte le mie compagne mi hanno abbandonata “
“Non lo posso credere! Tu che sei così saggia! Voglio renderti il favore” e così dicendo il gatto accolse la formica fra i suoi cuccioli e condivise con lei il proprio cibo.

6/7 – Il chicco di grano

C’era una volta un chicco di grano. Mentre lo trasportavano in un grosso sacco di tela con i suoi fratelli, era scivolato fuori da un minuscolo buchetto ed era atterrato su una strada polverosa, tra i sassi.
Una strana creatura nera con lunghe penne lucenti sulle ali, lo aveva prelevato per portarlo nella sua tana, sull’albero più alto del campo lì vicino.
Mentre volava tra le zampe del corvo, era riuscito a fuggire tra un’unghia ed un polpastrello, atterrando nel mezzo del campo. La soffice terra bruna lo aveva accolto, dandogli il rifugio ed il calore di cui aveva bisogno per calmare i timori e lenire la tristezza dell’improvviso atterraggio tra le pietre.
Dov’erano i suoi fratelli? Loro, tutti insieme, avrebbero continuato a ridere e cantare come prima dell’inizio del suo viaggio solitario mentre lui, in quel pur comodo nido, che fine avrebbe fatto? Tutto preso dai suoi pensieri, quasi non si accorse di un piccolo schianto quando, tutto ad un tratto, gli spuntarono delle piccole cose sotto; come dei piccoli fili.
Mentre era ancora intento a meravigliarsi della novità, quelle strane protuberanze cominciarono a muoversi nella terra, come animate da vita propria. Spaventato, cercò di fermarle, ma quelle non gli diedero retta, e continuarono a penetrare la terra.
D’improvviso un grande piacere sconvolse il piccolo chicco, che sentì fluire in sé la linfa, veicolata dalle radici fino alla parte più profonda del suo essere, quella che non sapeva di possedere.
Un improvviso respiro gli gonfiò il corpo, frantumandogli l’armatura; e così il chicco si trovò libero, avvolto nel nero che lo sfiorava, inducendolo a crescere sempre più. Così, dal desiderio che provava, spuntarono le ali, che lo condussero fuori dal terreno, oltre la superficie del campo, su nel cielo.
E sotto di sé, il chicco mai più triste, vide la sua trasformazione definitiva in fusto, foglie e poi spiga colma di chicchi come lui.
Ecco, senza l’iniziale ruzzolone sulla strada polverosa, senza la perdita dei suoi fratelli, senza il corvo dalle lunghe ali lucenti e dalle unghie ricurve, il chicco non avrebbe sentito il respiro della terra che lo aveva spinto fin lassù e non avrebbe saputo che crescere significa provare paura e tristezza, ma anche amore, desiderio e piacere.

7/7 – La papera Betta

C’era una volta la papera Betta, che viveva in una pccola casetta sul laghetto Smeraldino pieno di Ninfee insieme ai suoi due fratellini, tre sorelline, la mamma, il papà e i nonni paperi.
Il giorno del suo compleanno decise di andarsene in giro per il mondo: prati, laghetti, fiumi e mari per conoscere nuovi amici.
Davanti ad un’enorme torta piena di panna e cioccolata che le aveva prepartato la nonna disse “Grazie per la buonissima torta e per tutti i regalini, ma io ho deciso di andare via dal laghetto Smeraldino per un po’ di tempo perché voglio vedere cose nuove”.
La mamma paperina scoppiò a piangere e non voleva far partire Betta.
Il papà invece abbracciò la figlia e disse “ti lascerò andare perché devi fare le tue esperienze ma non sarà facile”. Così Betta dopo aver baciato tutti se ne andò.
Durante il suo viaggio incontrò molti amici come il rospo Bibò, l’anatroccolo Arturo, l’oca Pamela ed anche animali poco socievoli, ma non di certo cattivi.
Un giorno mentre si trovava nel mare fu attratta da una macchia marrone non appena si fu avvicinata si sentì le ali incollate e non riusciva più a muoversi… Quando non aveva più forze arrivò il Gabbiano Lorena e presa Betta con il becco la posò in terra e le disse “Stai attentà perché ci sono molti pericoli come questi”.
Allora Betta pensò che doveva evitare tutte le macchie marroni.
Mentre pensava, le venne fame: camminava in mezzo ad un prato pieno di violette, ranuncoli e panzè, quando vide un piccolo tronco marrone e bianco con l’estremità bruciacchiata, pensò che doveva provare un cibo nuovo.
Lo beccò e capì immediatamente che era disgustoso, dopo un po’ la sfortunata Betta cominciò a stare male… Per fortuna arrivò Bibò, che la portò dal medico Agata che le diede come medicina petali di margherita e foglie di tulipani rossi.
Quando si sentì meglio Betta decise di tornare a casa perché capì che c’erano molti pericoli contro cui non poteva difendersi invece lì nel laghetto smeraldino non c’erano macchie marroni collose o tronchetti velenosi.
Così tornò nella sua casetta dove venne accolta da tutta la famiglia con molta gioia e baci.

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